Un angolo di Roma al quale sono affezionato. Scenario di diversi eventi personali più o meno felici e infelici. Una mescolanza di vicende che potrebbero tranquillamente essere considerate anche brutti ricordi.
Ma alla fine non è così. In ogni caso esperienze vissute in una parte di Roma oscura e affascinante. Minuscole particelle di storia personale rispetto a le milioni di vicende stratificate nel tempo, da un minuto precedente ai secoli passati. Che hanno fatto la storia e la trasformazione intera della città .
Il lungo tevere di Porto di Ripa Grande è un vialone buio e isolato. Violentato da un traffico stradale lurido e incessante. Da questa zona alienata si passa solo per sbaglio, con una mano sulle borse e un’occhio all’asfalto, dove i mezzi si lanciano a velocità folle, fino a Porta Portese.
E’ un non luogo. Che lo si riconosce bello solo dal colle Aventino, dal giardino degli Aranci o dalla terrazza di Santa Sabina. Le quinte gigantesche del palazzone della dogana, con i suoi portali oggi serrati è una bella simmetria da allineare al cupolone.
I muraglioni del tevere costruiti a fine ottocento intrappolarono gli accessi dell’edificio, scollegandolo dalle rive e dalla vita dell’antico porto. Oggi le finestre sono schiacciate sul traffico, la facciata color ocra è coperta di fumi e nero di pneumatici. Sulla banchina i pali piegati della segnaletica, le carcasse dei motorini e le colonnine elettroniche del parcheggio. Ma non è sempre stato così.
Ho cominciato a ricomporre un puzzle di indizi, a partire da questo scatto. Che mi hanno consentito di rivalutare questo luogo, riaprire le saracinesche del tempo in queste cantine sporche e abbandonate. E riportare la luce, una luce gloriosa. Una scalinata, un rosone barocco sopra ad un portale, una vista di google earth, diverse stampe del piranesi, un dipinto di Gaspar Van Wittel e un altra meravigliosa scena di vita popolare in un quadro di Ludwig F. Catel.
Nel quadro di questo pittore romantico che seguì il Gran Tour fino a ritrovarsi in questa osteria di trastevere, si riconosce una vista ben precisa della chiesa di Santa Sabina. Ho utilizzato Google Earth per ritrovare quel panorama, e li sotto c’era una posizione esatta.
Intorno a questo luogo, grazie a tutti i pezzi messi insieme è rimerso un faro, stucchi, mercanzie, navi a vela, ormeggi, alberi maestri, vele, taverne, fiaschi. E marinai, osti, principi, ospiti che brindano e affollanno osterie assolate. Con quella luce gialla così tipicamente romana come ancora oggi si riconosce dai tramonti sull’Aventino.
Ed ho immaginato la vita e l’entusiasmo di questa osteria spagnola, dipinta così fedelmente come in una fotografia, da Ludwing F. Catel nel 1824. Proprio dietro quelle stesse inferriate che si vedono oggi, dentro quel portale otturato dal traffico, seminterrato nell’asfalto. All’epoca Ludwig Catel qui studiava la luce. Il punto focale del dipinto è quel colpo di sole che rifrange sul fiasco, dalle banchine del fiume inondate di sole e di vita.
Qui sotto, la tavola dove ho messo insieme alcuni degli indizi e dei riferimenti di diverse epoche storiche in diversi materiali pittorici, grafici e fotografici.